Fare Verde Onlus Monte San Giovanni Campano riassume brevemente l'iter legislativo che ha portato a giusta decisione per l'istituzione dei Centri di Riparazione e riuso che però sono stati ignorati da quasi tutti gli Enti Locali e siccome non ci facciamo mancare nulla questa soluzione è stata IGNORATA completamente a Monte San Giovanni Campano.
La tematica legata alla gestione dei rifiuti è stato ed è argomento di lavoro per Comunità Europea, Legislatore nazionale, Ministero dell’Ambiente, Associazioni Ambientaliste, operatori e cittadini. Le disposizioni in materia di ambiente a livello europeo (la Direttiva CE 98/2008), a livello nazionale (Piano Nazionale di Prevenzione Rifiuti – Min. dell’Ambiente, 7/10/2013) e la stessa Legge Quadro in materia di ambiente (art. 180 bis del D.Lgs 152/2006) definiscono la priorità di azioni su cui intervenire negli anni futuri. Trasversalmente a tutte le normative citate, emerge come la prima azione individuata sia quella della prevenzione della produzione dei rifiuti.
Sebbene le realizzazioni esistenti siano in prevalenza di iniziativa privata, la necessità di normare e stimolare la creazione di Centri di Riparazione e Riuso ha spinto la Comunità Europea a prescrivere agli Stati membri delle direttive comunitarie in cui è inclusa l'iniziativa pubblica. In particolare, l'art. 4 della direttiva CEE 17/6/2008 definisce «una gerarchia dei rifiuti da applicare quale ordine di priorità della normativa e della politica in materia di prevenzione e gestione dei rifiuti».
In Italia, il Testo Unico Ambientale (Decreto Legislativo 3 aprile 2006 n. 152, modificato dal DLGS 3 dicembre 2010n. 205, GU n. 288 del 10-12-2010) al riguardo di ciò, il Decreto all'Art 179 prevede «criteri di priorità nella gestione dei rifiuti», nel comma 1 riporta:
«le pubbliche amministrazioni perseguono (…) iniziative dirette a favorire prioritariamente la prevenzione e la riduzione della produzione e della nocività dei rifiuti».
L'unico articolo che dovrebbe esserne direttamente correlato in funzione della prioritaria prevenzione e riduzione è l'art. 6 dello stesso Decreto, il quale specifica il solo «riutilizzo di prodotti e preparazione per il riutilizzo di rifiuti». Infatti, nel comma 1 definisce che:
«le pubbliche amministrazioni promuovono (…) iniziative dirette a favorire il riutilizzo dei prodotti e la preparazione per il riutilizzo dei rifiuti».
Il comma 1a collega la promozione a strumenti economici per cui sono impiegabili le cosiddette imposte di scopo come la tassa sull'usa e getta, mentre i commi 1d e 1e prevedono rispettivamente degli obiettivi quantitativi e delle misure educative. Il comma 1b dispone:
«la costituzione ed il sostegno di centri e reti accreditati di riparazione/riutilizzo» ma, nonostante il comma 1c ne abbia imposto l'adozione entro giugno 2011, dopo un anno questa norma non è stata ancora tradotta in iniziative concrete dalla quasi totalità delle amministrazioni locali.
Bisogna evidenziare che la mancata attuazione del decreto è dovuta in gran parte alle contraddizioni presenti nello stesso Decreto, in particolare nella valenza giuridica da attribuire al termine "rifiuto". Secondo il Testo Unico Ambientale qualsiasi oggetto è classificato come "rifiuto" in funzione della necessità del "disfarsene" (art. 10 DGLS 205/2010) a prescindere dal potenziale riutilizzo diretto o previa riparazione:
«qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi».
La norma riproduce la Circolare del Ministero dell'Ambiente 28.06.1999 (poi adottata dal DLGS 152/2006, Parte Quarta, rispettivamente allegati B e C) per cui «un soggetto si disfa di qualche cosa quando è in atto o è stata effettuata un'attività di smaltimento o di recupero». Va specificato che nel Testo Unico Ambientale le operazioni di "smaltimento" e "recupero" collegate all'art. 10 non comprendono il riutilizzo.
La contraddizione è quindi nell'interpretazione del termine "disfarsi", nelle opinabili intenzioni del "detentore" e nell'esclusione di qualsiasi operazione di riutilizzo. La disciplina previgente (art. 14, DLGS 138/2002) recepiva la direttiva CEE/91/156 già presente nel "decreto Ronchi" (art. 6, comma 1, lettera a, DLGS 22/1997) che prescriveva come "rifiuto" «...qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'Allegato A alla parte quarta del presente decreto e di cui il detentore si disfaccia o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi».
L'abrogazione dell'allegato A (art. 264, DLGS 152/2006, sostituito con art. 10, DGLS 205/2010) è stata più volte richiamata in sede comunitaria fino alla condanna dell’Italia da parte della Corte di Giustizia Europea (Corte di Giustizia Sez. III 18 dicembre 2007, Commissione/Italia). Le motivazioni pertinenti ai fini del riutilizzo sono:
La tematica legata alla gestione dei rifiuti è stato ed è argomento di lavoro per Comunità Europea, Legislatore nazionale, Ministero dell’Ambiente, Associazioni Ambientaliste, operatori e cittadini. Le disposizioni in materia di ambiente a livello europeo (la Direttiva CE 98/2008), a livello nazionale (Piano Nazionale di Prevenzione Rifiuti – Min. dell’Ambiente, 7/10/2013) e la stessa Legge Quadro in materia di ambiente (art. 180 bis del D.Lgs 152/2006) definiscono la priorità di azioni su cui intervenire negli anni futuri. Trasversalmente a tutte le normative citate, emerge come la prima azione individuata sia quella della prevenzione della produzione dei rifiuti.
Sebbene le realizzazioni esistenti siano in prevalenza di iniziativa privata, la necessità di normare e stimolare la creazione di Centri di Riparazione e Riuso ha spinto la Comunità Europea a prescrivere agli Stati membri delle direttive comunitarie in cui è inclusa l'iniziativa pubblica. In particolare, l'art. 4 della direttiva CEE 17/6/2008 definisce «una gerarchia dei rifiuti da applicare quale ordine di priorità della normativa e della politica in materia di prevenzione e gestione dei rifiuti».
In Italia, il Testo Unico Ambientale (Decreto Legislativo 3 aprile 2006 n. 152, modificato dal DLGS 3 dicembre 2010n. 205, GU n. 288 del 10-12-2010) al riguardo di ciò, il Decreto all'Art 179 prevede «criteri di priorità nella gestione dei rifiuti», nel comma 1 riporta:
«le pubbliche amministrazioni perseguono (…) iniziative dirette a favorire prioritariamente la prevenzione e la riduzione della produzione e della nocività dei rifiuti».
L'unico articolo che dovrebbe esserne direttamente correlato in funzione della prioritaria prevenzione e riduzione è l'art. 6 dello stesso Decreto, il quale specifica il solo «riutilizzo di prodotti e preparazione per il riutilizzo di rifiuti». Infatti, nel comma 1 definisce che:
«le pubbliche amministrazioni promuovono (…) iniziative dirette a favorire il riutilizzo dei prodotti e la preparazione per il riutilizzo dei rifiuti».
Il comma 1a collega la promozione a strumenti economici per cui sono impiegabili le cosiddette imposte di scopo come la tassa sull'usa e getta, mentre i commi 1d e 1e prevedono rispettivamente degli obiettivi quantitativi e delle misure educative. Il comma 1b dispone:
«la costituzione ed il sostegno di centri e reti accreditati di riparazione/riutilizzo» ma, nonostante il comma 1c ne abbia imposto l'adozione entro giugno 2011, dopo un anno questa norma non è stata ancora tradotta in iniziative concrete dalla quasi totalità delle amministrazioni locali.
Bisogna evidenziare che la mancata attuazione del decreto è dovuta in gran parte alle contraddizioni presenti nello stesso Decreto, in particolare nella valenza giuridica da attribuire al termine "rifiuto". Secondo il Testo Unico Ambientale qualsiasi oggetto è classificato come "rifiuto" in funzione della necessità del "disfarsene" (art. 10 DGLS 205/2010) a prescindere dal potenziale riutilizzo diretto o previa riparazione:
«qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi».
La norma riproduce la Circolare del Ministero dell'Ambiente 28.06.1999 (poi adottata dal DLGS 152/2006, Parte Quarta, rispettivamente allegati B e C) per cui «un soggetto si disfa di qualche cosa quando è in atto o è stata effettuata un'attività di smaltimento o di recupero». Va specificato che nel Testo Unico Ambientale le operazioni di "smaltimento" e "recupero" collegate all'art. 10 non comprendono il riutilizzo.
La contraddizione è quindi nell'interpretazione del termine "disfarsi", nelle opinabili intenzioni del "detentore" e nell'esclusione di qualsiasi operazione di riutilizzo. La disciplina previgente (art. 14, DLGS 138/2002) recepiva la direttiva CEE/91/156 già presente nel "decreto Ronchi" (art. 6, comma 1, lettera a, DLGS 22/1997) che prescriveva come "rifiuto" «...qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'Allegato A alla parte quarta del presente decreto e di cui il detentore si disfaccia o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi».
L'abrogazione dell'allegato A (art. 264, DLGS 152/2006, sostituito con art. 10, DGLS 205/2010) è stata più volte richiamata in sede comunitaria fino alla condanna dell’Italia da parte della Corte di Giustizia Europea (Corte di Giustizia Sez. III 18 dicembre 2007, Commissione/Italia). Le motivazioni pertinenti ai fini del riutilizzo sono:
- il verbo «disfarsi» deve essere interpretato considerando le finalità della normativa comunitaria e, segnatamente, sia la tutela della salute umana e dell’ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell’ammasso e del deposito dei rifiuti, sia un elevato livello di tutela e l'applicazione dei principi di precauzione e di azione preventiva (Corte Giustizia 18 aprile 2002, Palin Granit);
- l'applicazione delle direttive in tema di rifiuti non può dipendere dall'intenzione del detentore di escludere o meno una riutilizzazione economica da parte di altre persone delle sostanze o degli oggetti di cui si disfa (Corte Giustizia 28 marzo 1990, Vessoso).